volume I - Friuli Occidentale
musiche di Mauro Vidoni
ISBN 978-88-7636-163-0
Udine, Società Filologica Friulana, 2012
Con questo volume si apre Vilotis di chenti, una collana dedicata all’elaborazione di canti della tradizione orale friulana promossa “di concerto” dalla Società Filologica Friulana e dall’Unione delle Società Corali del Friuli Venezia Giulia. L’intento è chiaro: fornire nuovi materiali per l’attività corale basati sulla musica tradizionale friulana di volta in volta individuata in specifiche aree del territorio.
Qualche lettore dirà fra sé: «…ancora una raccolta di villotte elaborate per coro». Certo, non nego che ne esistano diverse a disposizione, ma devo osservare che la nostra coralità ha continuamente bisogno di musiche per ampliare il suo repertorio e che le poche villotte che oggi si ascoltano nei concerti corali ripetono spesso un limitato numero di titoli “classici”. Benché sia sempre stata il marchio sonoro della friulanità e benché ancora faccia parte del nostro senso di identità collettiva, la villotta sembra aver perso buona parte della sua carica di rappresentatività. I cori friulani preferiscono evidentemente le composizioni originali in friulano (storiche o recenti) piuttosto che le armonizzazioni o le elaborazioni dei canti popolari. Indubbiamente, la ripetitività che il repertorio delle villotte accusa da decenni, per essere costituito da un numero esiguo di titoli rispetto alla ricchezza testuale e melodica consegnataci dalla tradizione (si veda quanto siano numerosi e vari gli esempi nelle principali raccolte di villotte), non giova certo alla sua vivacità. Allora perché non proporre esempi meno noti della tradizione orale in nuove elaborazioni? Ecco il principio cui si ispira questo progetto editoriale.
Pur sapendo di ripetere argomenti ormai noti, non posso esimermi dal ricordare i principali tratti del genere vocale friulano che chiamiamo villotta. Il termine vilote è in uso dalla prima metà circa dell’Ottocento; compare per la prima volta nella poesia Primavere di Pietro Zorutti, pubblicata nel suo Il stroligh furlan... par l’an 1821, mentre antichi sinonimi del nostro canto popolare erano cjanzon, cjanzonete. Le strofe di villotte – di argomento lirico-satirico – sono composte di quattro versi ottonari, ma spesso nell’atto del canto le ripetizioni fanno sì che un solo distico basti a creare l’unità melodico-testuale. Benché le singole strofe avessero compiutezza contenutistica, erano spesso cantate in concatenazioni, anche con diversità di soggetti, oppure seguendo la logica del contrasto fra due o più esecutori. Le villotte si improvvisavano, si adattavano ad altre melodie, avevano per tema le particolarità di un luogo e della sua gente. Alcune, causa l’isolamento geografico, rimanevano circoscritte in territori specifici, altre si diffondevano, inalterate, in zone ampie e perduravano nel tempo.
Il periodo di maggior vitalità creativa e funzionale della villotta sembra essere stato quello compreso tra il Settecento e l’Ottocento. Riesce difficile formulare ipotesi riguardo alle epoche precedenti; lo studioso Bindo Chiurlo suppose addirittura un’origine tardo-quattrocentesca (almeno per l’aspetto testuale), ma i primi esempi di ottonari rimati alla maniera della villotta si presentano solo nel primo Seicento. La raccolta delle villotte dalla viva voce del popolo ha preso avvio con le trascrizioni dei testi a partire circa dalla metà dell’Ottocento; la notazione delle melodie si è avuta solo dal primo dopoguerra. Le registrazioni “sul campo” (su nastro magnetico) sono state effettuate con una certa sistematicità solo a partire dagli anni ’50 del secolo scorso.
Dagli inizi del Novecento, la villotta è stata oggetto di un forte processo di rivitalizzazione grazie alle esecuzioni corali; parallelamente si è affermata la sua imitazione in forma d’arte da parte di vari musicisti (si vedano le composizioni di Arturo Zardini, Franco Escher, Tita Marzuttini, Augusto Cesare Seghizzi, Luigi Garzoni, Carlo Conti e altri). L’attività dei cori organizzati, molto sostenuta nel periodo fra le due guerre mondiali, ha favorito l’affermazione di modalità esecutive standardizzate: elaborazione polifonica a tre o quattro voci (con una parte grave che si ferma sulle note fondamentali dell’armonia), quadratura ritmica, eliminazione dei portamenti vocali e delle libere variazioni della melodia, emissione curata della voce. Queste caratteristiche hanno influito a loro volta sulla pratica del canto spontaneo.
Per quanto attiene alla dimensione musicale, va detto che le melodie impiegate nelle villotte riflettono stratificazioni cronologiche e origini varie: troviamo esempi più arcaici con estensioni ridotte, melodie d’origine strumentale, probabili trasformazioni di melodie liturgiche o di più recenti canti o canzoni d’autore. Data la struttura metrica fissa della villotta, è possibile anche cantare le stesse strofe con diverse melodie e l’adattamento dei versi alla melodia può avvenire con diverse modalità (ad esempio senza alcuna ripetizione, con ripetizione per tre volte del primo verso, ecc).
Le villotte hanno avuto per secoli la funzione di veicolo comunicativo formalizzato e condiviso. Col canto si potevano comunicare sentimenti d’amore, dall’invito al corteggiamento alla bellezza della persona amata, dallo struggimento della lontananza al desiderio amoroso e, naturalmente, a quello erotico. Ci si poteva consolare o commiserare a voce alta, si potevano denigrare persone, categorie sociali o lavorative, abitanti di altri paesi senza oltrepassare il confine dell’offesa, perché era il canto a trasmettere i motteggi e i concetti arguti e tanto più erano ben detti (o meglio, ben cantati), tanto più erano accolti ed accettati con spirito.
Le elaborazioni proposte in questo primo fascicolo si orientano proprio verso la ri-creazione ideale dell’essenza originaria della villotta, tenendo presente principalmente il suo potenziale comunicativo e, naturalmente, la differenziazione fra espressione maschile e femminile. Consiglio, ove sia possibile, l’esecuzione unita ad alcuni espedienti “scenici” che ne rendano vivace e più comprensibile la ricezione come, ad esempio, la sistemazione del coro in due gruppi fronteggiati che dialogano (voci maschili e voci femminili), oppure separando nello spazio le voci soliste, oppure utilizzando semplici azioni mimiche.
Ogni elaborazione è accompagnata da una breve introduzione che potrà essere utile ai coristi per cogliere autonomamente le particolarità del brano e ai maestri per adeguare le proprie scelte interpretative alle intenzioni dell’autore. Le libertà che quest’ultimo si è preso nella scelta delle strofe del testo, nell’ampliamento della forma con sezioni di libera invenzione, nelle modifiche ritmiche, non inficiano il lavoro di elaborazione musicale che, nel rispetto del materiale originale, è creazione propria.
Consiglio infine a maestri e coristi di non temere quella che nel nostro canto tradizionale può apparire come ingenuità. Se ben si coglie l’essenza della sua “semplice” poesia, la villotta ripaga esecutori e ascoltatori con la sua arguzia e la sua saggezza, con la sua vitalità o la sua dolce nostalgia.
Roberto Frisano